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venerdì 15 gennaio 2010

Versione "Ad Familares, XIV, 3" di Cicerone

Cicero Terentiae suae s. Accepi Ab Aristocrito tres epistulas, quas ego lacrimis prope delevi. Conficior enim maerore, mes Terentia, nec meae me miseriae magis excruciant quam tuae vestraeque. Ego autem hoc miserior sum quam tu, quae es miserissima, quod ipsa calamitas communis est utriusque nostrum, sed culpa mae propria est. Meum officium vel legatione vitare periculum, vel cadere fortiter. Hoc miserius, turpius, indignius nobis nihil fuit. 2) Quare cum dolore conficiar, tum etiam pudore. Pudet enim me uxori meae optimae suavissimis liberis virtutem et diligentiam non praestitisse. Nam mihi ante oculos dies noctesque versatur squalor vester et maeror et infirmitas valetudinis tuae; spes autem salutis pertenuis ostenditur. Inimici sunt multi: invidi paene omnes.

TRADUZIONE

Cicerone alla sua Terenzia. Ricevetti da Aristocrito tre epistole, le quali io distrussi subito dopo con le lacrime. Infatti sono consumato dalla tristezza, mia Terenzia, né più mi tormentano le mie infelicità quanto le tue e le vostre. Io invece questo sono, più infelice di te che sei in felicissima, per la stessa comune disgrazia è ognuno di noi due, ma la colpa è mia. Sarebbe stato il mio servizio ossia con la legazione di evitare il pericolo (dell’esilio), ossia di cadere valorosamente. Più misero, più ignobile, più indegno a questo non fu per noi. Per cui non solo con il dolore che ho ricevuto ma anche con il pudore. Infatti della mia buonissima moglie ai dolcissimi figli che non fossero superati per virtù e cura. Infatti davanti a me gli occhi, giorno e notte, sono (è) voltati verso lo squallore e la tristezza e la debolezza delle tua salute, la speranza mi appare invece della debolissima salute. I nemici sono molti, quasi tutti invidiosi.

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